Impronta ecologica

Cosa è. Perché è importante conoscerla. I=PAT 

Rajanikant, Raji per gli amici, è un ragazzino in India che vive in una capanna con muri di fango e paglia e in terra battuta. Mangia principalmente riso e verdure prodotte dai campi fuori dal villaggio, dove abitano anche i suoi moltissimi parenti e per andare a scuola si sposta a piedi. Ha pochi indumenti, che usa per anni.

Mattia invece vive in Italia, in un appartamento condominiale in città, mangia una dieta con cibi che arrivano da vari paesi, spesso esteri, mangia carne o salumi molte volte a settimana, la madre lo porta a scuola in macchina, mentre lei va al lavoro in centro. Mattia ha un armadio con tanti vestiti e ad ogni stagione, secondo la moda, ne cambia diversi.

Raji e Mattia fanno un uso molto diverso delle risorse dell’ambiente terrestre. Raji ne consuma quattro volte di meno di Mattia, forse ancora meno. E come lui tantissimi indiani in confronto con tantissimi italiani. 


Lo stile di vita (cioè cosa si mangia, come ci si veste, ci si sposta, dove si abita) è una componente importante di quella che è l’impronta ecologica (che è la quantità di superficie necessaria a sostenere una certa popolazione umana per poter rigenerare le risorse essa usa e per assorbire i rifiuti che produce), un concetto introdotto da Mathis Wackernagel e William Rees qualche anno fa.


Se tutti quanti al mondo avessero l’impronta degli italiani, ci vorrebbero più di due pianeti e mezzo come la Terra, mentre se tutti vivessero come in India servirebbe poco più della metà della Terra. Complessivamente la popolazione mondiale sta vivendo con risorse di 1,7 Terre, cioè stiamo intaccando il capitale di risorse di suolo coltivabile, foreste, pesci, energia, via via riducendole.

Un altro modo di visualizzare l’impatto è tramite l’Overshoot Day, cioè il giorno dell’anno in cui tutte le risorse rinnovabili della terra sarebbero consumate se tutti gli umani vivessero come le persone di un certo paese. In Italia negli ultimi anni è stato verso metà di Maggio (in USA sarebbe arrivato due mesi prima, a metà di Marzo, mentre in India si arriverebbe a fine Dicembre senza che le risorse fossero terminate).   


Questa situazione non può durare a lungo prima di provocare disastri e carestie e questo impatto va ridotto, adeguandolo a quella che è la capacità di rinnovamento delle risorse terrestri. Non è una cosa semplice, perché la popolazione aumenta, gli stili di vita sono sempre più orientati al consumo di beni e servizi e non al riutilizzo di oggetti e infine insieme alla tecnologia crescono anche le efficienze produttive, che accelerano il ritmo con cui adoperiamo risorse.

Una descrizione sintetica, che viene usata per illustrare le componenti dell’impronta ecologica, viene fatta con la formula I=P.A.T [Impact=Population x Affluence x Technology] cioè l’Impatto umano è uguale al prodotto delle tre componenti (considerate in prima approssimazione come indipendenti) Popolazione, Abbondanza di consumi dello stile di vita, Tecnologia ed efficienza produttiva.  

Visto che è un carico non sostenibile a lungo, come si può ridurre l’impronta umana? Riducendo qualcuna o anche tutte le componenti, a seconda della situazione in cui si trova lo specifico paese di cui ci si interessa.  Nel cosiddetto mondo occidentale, in cui il numero di nascite per famiglia è abbastanza contenuto, più che agire sulla riduzione della popolazione, per ottenere velocemente dei risultati bisogna agire sugli altri parametri, correlati a consumi e a produzione. Invece, nei paesi in cui i consumi e la produzione, anche di rifiuti, sono ridotte, la diminuzione della velocità di riproduzione (come in Nigeria, dove è tra le più alte al mondo) sarebbe importante.

Se non si cambia questa folle corsa a consumare le risorse della terra e non si riduce drasticamente l’impronta umana, i modelli scientifici predicono disastri nel futuro delle società (come già anticipato cinquanta anni fa nel rapporto per il Club di Roma intitolato “I limiti della Crescita”). Se invece vengono apportate riduzioni all’impronta umana, c’è ancora modo di riportare su di un cammino sostenibile le risorse rinnovabili del pianeta, in modo che sostengano indefinitamente l’umanità. La linea azzurra rappresenta la tendenza dell’impronta se nulla cambia, quella verde l’impronta futura, necessaria per ritornare al di sotto della capacità di carico della Terra (linea violetta). 


Bisogna fare una transizione, e non è semplice, dal mondo attuale ad uno futuro in cui l’umanità non eccederà nell’uso delle risorse terresti. Poiché non si può fare da un giorno all’altro, bisogna guadagnare tempo per condurre il processo di transizione ed il modo è quello di sviluppare una economia circolare, che, per le componenti biologiche, ricostituisca i suoli impoveriti e riutilizzi gli scarti, e, per le componenti tecnologiche, aumenti le efficienze nell’uso di risorse energetiche e dei materiali, con le attività di manutenzione, riparazione, riutilizzo e riciclo. Questo passaggio ad una economia circolare può creare nuovi posti di lavoro, a compensare ed eccedere quelli persi, e ridurre grandemente le emissioni di gas alteranti.


La società, nel frattempo, deve anche cambiare per quanto riguarda la finanza, l’agricoltura, l’energia e la stessa natura del lavoro.

La finanza deve allungare i tempi di misura per esempio con tassazioni maggiori sui profitti a breve termine e diritti di voto societari variati per tempi di possesso delle azioni.

L’agricoltura deve proteggere i suoli e ricostituirli dove sono degradati, passando dalle grandi monocolture a fattorie che gestiscono il sistema agroecologico in modo integrato (suolo, acqua, paesaggio, biodiversità, turismo) e contribuendo a sequestrare carbonio.

Per l’energia deve diventare primario il risparmio energetico, su tutte le componenti di consumo, e una contemporanea transizione verso le fonti energetiche rinnovabili, primariamente il solare fotovoltaico, che sta velocemente diminuendo costi ed aumentando efficienze, ma anche l’eolico e l’idraulico marino. Vanno anche sviluppate e diffuse tecnologie di stoccaggio a ciclo breve (batterie) e ciclo lungo (idrogeno). 

La natura del lavoro deve cambiare, con l’obiettivo di una maggior giustizia ed equità, ripensando il concetto stesso di produttività e delle figure del lavoro casalingo e di quello per servizi di pubblica utilità, come anche andranno rivisti i tempi di lavoro, che andranno ridotti in termini di quantità di tempo contrattuale annuale e gestiti con maggiori flessibilità.

Questi cambiamenti sono possibili ma richiedono accettazione sociale e un allungamento degli orizzonti per essere capaci di immaginare una nuova società, migliore, più egualitaria e giusta.

Per evitare che gli interessi di pochi ricchi e potenti blocchino le riforme che permettono di passare ad una società sostenibile e migliore, le giovani generazioni sono quelle in grado, più delle altre, di comprendere la necessità e l’urgenza del cambiamento e che possono ricordare ai politici il loro ruolo di gestori dei bisogni di tutti i cittadini e che possono incalzare i politici perché si sbrighino ad agire.


Approfondimenti e collegamenti

Libro su Impronta Ecologica: Our Ecological footprint: Reducing Human Impact on the Earth. Authors: Mathis Wackernagel, William E. Rees. New Society Publishers, 1996 – Nature – 160 page

Organizzazione Global Footprint Network   

Calcolatore dell’impronta ecologica personale

Equazione IPAT

Rapporto al Club di Roma 1972 Meadows, D. H., Meadows, D. L., Randers, J., & Behrens, W. W. (1972). The limits to growth. New York: Universe Books.

Libro su un futuro migliore, una visione di come modificare l’impronta ecologica e la società per evitare la crisi di risorse prodotto come Rapporto al Club di Roma nel 2018

M.O.

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